Balneari, sì del Cdm alla riforma. Gare dal 2024, freno al caro-ombrellone

 Due le parti, un emendamento al ddl sulla concorrenza già incardinato in Parlamento e un disegno di legge che prevede una delega al governo

Dal 1° gennaio 2024 le concessioni balneari saranno messe a gara. Prevedendo investimenti per migliorare la qualità dei servizi e interventi tesi a garantire maggiore equità nei prezzi. All’unanimità il Consiglio dei ministri ha dato disco verde a un provvedimento sulle concessioni che, si spiega da Palazzo Chigi, è articolato in due parti. La prima consiste in un emendamento al ddl sulla concorrenza già incardinato in Parlamento, con norme applicabili in seguito all'approvazione definitiva, che prevedono che le concessioni attuali, comprese quelle in proroga, continuino a essere efficaci fino al 31 dicembre 2023.

Disegno di legge di delega al governo

Un aspetto cruciale del nuovo impianto è che le concessioni assegnate con procedure concorsuali a evidenza pubblica proseguono fino alla naturale scadenza. Si passa poi a un disegno di legge che prevede «una delega al governo per l’adozione, entro sei mesi, di uno o più decreti legislativi per semplificare la disciplina sulle concessioni demaniali per finalità turistico-ricreative». Gli obiettivi della delega, sottolinea Palazzo Chigi, sono quelli di «assicurare un utilizzo più sostenibile del demanio marittimo; favorirne la pubblica fruizione; promuovere un maggiore concorrenza sulle concessioni balneari».

Principi e criteri guida

Per quanto riguardi i «principi e criteri dei decreti legislativi» vengono sintetizzati in un «equilibrio tra le aree demaniali in concessione e le aree libere o libere attrezzate»; così come nell’affidamento delle concessioni nel rispetto dei principi di imparzialità, parità di trattamento, massima partecipazione, trasparenza e adeguata pubblicità, da avviare con bando di gara almeno dodici mesi prima della loro scadenza. Si punta poi a favorire la massima partecipazione delle microimprese e piccole imprese, e di enti del terzo settore, con la definizione dei presupposti e dei casi per l'eventuale frazionamento in piccoli lotti delle aree demaniali da affidare in concessione. E l’elenco delle finalità si completa con un «adeguato rapporto tra tariffe proposte e qualità del servizio», con il migliorare l'accessibilità e la fruibilità del demanio, anche da parte dei soggetti con disabilità e «assicurare il minimo impatto sul paesaggio, sull’ambiente e sull'ecosistema».

La scelta dei concessionari

Per quanto riguarda i «criteri per la scelta del concessionario» ne vengono indicati alcuni. Tra questi un’esperienza tecnica e professionale già acquisita, comunque tale da non precludere l’accesso al settore di nuovi operatori; soggetti che, nei cinque anni antecedenti l’avvio della procedura, hanno utilizzato la concessione come prevalente fonte di reddito per sé e per il proprio nucleo familiare; la previsione di clausole sociali per promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato dal concessionario uscente; la durata della concessione per un periodo non superiore a quanto strettamente necessario per garantire l’ammortamento e l’equa remunerazione degli investimenti autorizzati, con divieto espresso di proroghe e rinnovi anche automatici.

Tassello mancante della riforma della concorrenza

Alle viste quindi una risistemazione delle attività del settore: un po’ a sorpresa, in una settimana che doveva essere concentrata sugli interventi contro il “caro bollette” - il dossier dovrebbe approdare sul tavolo di un Consiglio dei ministri venerdì 18 febbraio - , il premier Mario Draghi porta in Consiglio dei ministri la riforma delle concessioni balneari, il tassello mancante della riforma della concorrenza, e anche quello più “sensibile” per i partiti della larga maggioranza che lo sostengono. L’obiettivo dichiarato era di uscire dal regime di proroga ripristinando le gare, tutelando però gli investimenti fatti e le piccole realtà, le imprese familiari che gestiscono singoli stabilimenti.

La sentenza del Consiglio di Stato

Il presidente del Consiglio in autunno aveva promesso un intervento dopo la sentenza del Consiglio di Stato, che già a novembre aveva posto come limite per il regime di proroga al 31 dicembre 2023. Ma il nodo è stato via via rinviato, per far decantare le tensioni tra le forze politiche e per consentire un confronto con le categorie, e ora l’Italia corre il rischio di una maxi sanzione Ue.

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